lunedì 12 marzo 2012

KEITH JARRETT: THE KOLN CONCERT


 Una breve introduzione è d'obbligo, questo disco mi ha stregato per la musica che contiene ma anche per l'alone leggendario che lo avvolge, come mi è capitato per "Kind of blue" di Miles Davis anche in questo caso mi sento inadatto a parlare di questo capolavoro. Questo album è stato studiato da ogni pianista, appassionato o critico di questa Terra, chi ha avuto la fortuna di assistere dal vivo a questo eccezionale evento può dire di aver vissuto un evento epocale come lo sbarco sulla luna o l'abbattimento del muro di Berlino.
Questa volta vorrei avvelermi dell'aiuto di un libro di Flavio Caprera dove si trova una bellissima, quanto accurata, recensione di questo album.

"NON POSSIEDO NEMMENO UN SEME quando comincio a suonare. E' come partire da zero..." . In questa frase di Keith Jarrett è racchiusa la sua concezione della musica e l'essenza di "The Koln Concert" . Il disco rappresenta una tappa fondamentale nella carriera del pianista americano: a partire da questo lavoro nulla sarà più come prima per lui. Egli si lascia alle spalle gli anni passari nel gruppo di Art Blakey, con il sassofonista Charles Lloyd, con Miles Davis, con gli esperimenti jazz-rock, con Kenny Wheeler, ecc...
"The Koln Concert" rappresenta un salto in avanti non solo per lui ma anche per Manfred Eicher, patron dell'etichetta tedesca ECM, con la quale Jarrett collaborava già da diverso tempo. Il concerto, e la conseguente registrazione, si tiene il 24 gennaio 1975 presso l'Opera Haus di Colonia. Jarrett non era nuovo a questo tipo di performance, basata sull'improvvisazione totale e realizzata in solitudine con il pianoforte. In pratica affrontava lo strumento senza spartiti di nessun genere, o idea o brano già programmato. Si affidava totalmente all'estro, alla creatività ed a una tecnica impressionante di derivazione classica. La leva fondamentale di questa sua performance, chiaramente, è il jazz, la musica che più di tutte valorizza il concetto stesso di improvvisazione.
A quanto sembra, il concerto era nato sotto i peggiori auspici. Jarrett aveva chiesto di avere sul palco un pianoforte Steinway. Invece non si sa come, probabilmente per un disguido, lo Steinway non fu preso. Jarrett provò allora i due pianoforti Bosendorfer che erano dietro al palco. Scelse quello a cosa. Per un altro disguido fu installato sul palco il Bosendorfer sbagliato, che non dava le garanzie tecniche richieste. Le cose sembravano volgere al peggio: Jarrett era famoso per le sue "bizze" da star e i timori di un colpo di testa da parte del pianista erano fondati. Inoltre era molto scocciato perchè quel giorno aveva raggiunto in macchina Colonia dalla Svizzera dopo aver trascorso una notte turbolenta: una situazione da far tremare i polsi. Come avviene spesso nel jazz, in cui dalle peggiori condizioni nascono capolavori, Jarrett si sedette al pianoforte, tenendo un atteggiamento di sfida verso lo strumento, e dopo qualche attimo dette vita a quel fluviale capolavoro che è "The Koln Concert". Questa performance marcherà e marchierà indelebilmente una genia di pianisti anche fuori dall'ambito jazz.
Il disco è suddiviso in due parti, la prima che dura ventisei minuti circa, e la seconda - suddivisa in tre sezioni A, B, C, - della durata di circa quaranta minuti. Part I si avvia lentamente: Jarrett accenna le sue intenzioni, introduce il viaggio che si sta per intraprendere. Poi si lasci andare a una esecuzione carica di forte tensione emotiva, fatta di accordi complicati, pause della mano sinistra, battiti del piede per sottolineare il tempo, e mugolii che ricordano le esecuzioni del grande pianista classico Glenn Gould. La parte finale di questo lungo pezzo si stempera in una scarica di note pregne di lirismo e forza emotiva.
La Part II A si affida alla ripetitività ossessiva e circolare della mano sinistra che pesta sui bassi. Il brano si sviluppa in questa maniera, dando spazio anche a sprazzi di ragtime e blues. E' un ritmo assordante, parossistico ma di forte efficacia musicale. Jarrett sfrutta al meglio le scarse possibilità che gli offriva il pianoforte. La sezione B è scandita da tre diversi momenti, il primo di estrema serenità, con la mano destra che costruisce un tema e la sinistra che ne detta il ritmo; il secondo compie un'accelerazione in avanti, dettato da un'esecuzione continua di note; il terzo è caratterizzato da continui cambi di tempo che si concludono con un ritorno ai temi iniziali del disco. La sezione C conclude il concerto. Arriva dopo la pausa. Jarrett si affida al cuore pulsante del jazz, cioè agli standard. La mano sinistra ricalca le armonie dei grandi pianisti, mentre la destra si lascia andare a improvvisazioni splendide e cariche di sentimento, come deve essere a chiusura di un grande concerto.
Keith Jarrett e Manfred Eicher riascoltarono dopo qualche giorno la registrazione del concerto e decisero che, dopo tutto, non era male. Affidarono il nastro all'ingegnere del suono Wieland affinchè intervenisse con qualche ritocco. Il vinile venne commercializzato lo stesso anno della registrazione e riscosse un successo di vendite impressionante. Nello stesso anno la rivistra "Times" attribuì a "The Koln Concert" il premio di miglior disco dell'anno. L'attuale versione su cd ha venduto milioni di copie e continua a essere un long seller.



Part I (26.01)



Part II A (14.54)



Part II B (18.14)



Part II C (6.56)

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