lunedì 27 febbraio 2012

LOUIS ARMSTRONG: BIOGRAFIA

LOUIS ARMSTRONG


“Se mai ci fu qualcuno degno di essere chiamato Mister Jazz, questo fu Louis Armstrong” Duke Ellington.

Come quasi tutti i creatori di jazz era venuto dal nulla. Era nato, il 4 agosto 1901, in una baracca di legno che conteneva un unico stanzone, nel più povero quartiere di New Orleans, a poca distanza da Storyville. Suo padre, un operaio, abbandonò la famiglia quando lui era ancora un bambino, e sua madre, che lavorava come domestica, si arrabattava alla meno peggio per allevarlo, assieme alla sorella Beatrice. Ebbe un’istruzione rudimentale: gran parte delle cose che imparò le apprese dalla strada ed il resto in un riformatorio.
Imparò a suonare la cornetta in una casa di correzione per ragazzi neri. Ci era entrato nel 1913 dopo essere stato arrestato la notte di capodanno, ci rimase per circa un anno e mezzo. Alla Waifs Home il giovane Armstrong (allora soprannominato Dippermouth, o più semplicemente Dipper) trovò un guardiano, Peter Davis, che gli insegnò i primi rudimenti della musica e gli mise in mano, per la prima volta, una cornetta.
Divenne presto il direttore della banda del carcere, che spesso sfilava per le vie di New Orleans. “La prima volta che marciammo in parata attraverso il mio vecchio quartiere c’erano tutti per vederci passare. Tutte le puttane, i ruffiani, i biscazzieri, i ladri e i  mendicanti erano lì ad aspettare la banda perché sapevano che in quella ci sarebbe stato Dipper, il figlio di Mayann. Però nessuno si sarebbe immaginato che io avrei suonato la cornetta, e che l’avrei fatto tanto bene” così aveva raccontato Armstrong.
Uscito dal riformatorio il piccolo Dipper si arrabattò tra un lavoro ed un altro per sbarcare il lunario e per due anni non toccò lo strumento che Peter Davis gli aveva insegnato a suonare, ma non si era dimenticato della musica, solo si limitava ad ascoltare quella che facevano gli altri.
Iniziò a fare le prime esperienze da professionista in qualche localaccio di Storyville ed ogni tanto nelle retate della polizia finiva in galera per qualche notte finche i proprietari non pagavano la cauzione.
In quegli anni suonando anche nelle orchestrine che giravano per la città sui carretti ebbe la fortuna di conoscere molti buoni musicisti da Kid Ori a Sidney Bechet ma soprattutto King Oliver e fu proprio quest’ultimo a sceglierlo come suo sostituto nell’orchestra di Ory quando decise di trasferirsi a Chicago.




In quel periodo incontrò Daisy Parker, una prostituta di tre anni più grande di lui, del tutto analfabeta. Non sorprende che il matrimonio ebbe vita breve e tempestosa: botte da orbi in privato e in pubblico, scenate di gelosia da parte di lei e molti soggiorni in carcere per lui, questo il ricordo di Armstrong tratto dalla sua seconda autobiografia.
Meglio gli andavano le cose sul fronte della musica, le scritture non mancavano e, visto che con l’orchestra di Ory non era impegnato quotidianamente, poteva entrare in contatto con molti musicisti. Ad un certo punto potè anche permettersi di abbandonare il carretto e tra il 1919 e 1921 lavorò prevalentemente sui battelli da escursione che andavano su e giù per il Mississippi. Ritornato nella sua città fu scritturato da Tom Anderson  per suonare nel suo locale e da Papa Celestin per suonare nella sua orchestra di New Orleans.
Poi venne il giorno da sempre atteso, o forse sognato: quello in cui  King Oliver gli inviò un telegramma da Chicago per invitarlo ad unirsi alla sua Creole Jazz Band, era il 1922.
Con l’orchestra di Joe Oliver ingranò subito, “non avevamo bisogno di scriverli i break, io ero così immedesimato nella musica di Joe che potevo seguire la sua tromba conduttrice in un a frazione di secondo. Nessuno capiva come potessimo farlo, ma per noi era una cosa facile” così raccontava Louis.
Nacquero in questo modo i famosi duetti di cornette fra il vecchio e il giovane astro del jazz. In quegli anni nacque anche il suo amore per la pianista del complesso, Lil Hardin, che sarebbe divenuta la sua seconda moglie nel 1924.



Presto prese in mano la situazione portando la sua volontà a prevalere, per lei la situazione del marito nell’orchestra di Oliver era senza via d’uscita; pensava che l’anziano re volesse solo tenere sott’occhio Louis temendo il suo talento e la tua tecnica. Alla fine Armstrong si lasciò convincere e dopo qualche altra esibizione con Oliver decise di spostarsi nell’orchestra di Ollie Powers che suonava al Dreamland. Rimase solo per qualche mese poiché arrivò l’offerta di Fletcher Henderson per andare a New York come sostituto di Joe Smith.
In breve i musicisti di New york furono conquistati dal nuovo talento, che per molti di loro divenne il modello da imitare, e per qualcuno un vero e proprio idolo.
I dischi incisi con Henderson dimostrano chiaramente la differenza e la distanza che intercorreva fra Louis e gli altri componenti dell’orchestra. La sua maturità musicale si può apprezzare anche in molte incisioni che effettuò in veste di accompagnatore di alcune popolari cantanti blues, come Bestie Smith, “Ma” Rainey e Trixie Williams.
Il successo a New York, tuttavia, non lo appagava e i suoi rapporti con gli altri componenti dell’orchestra si stavano deteriorando, lui non approvava il modo di vivere dei suoi colleghi: bevevano troppo e non prendevano sul serio il loro lavoro. L’ultimatum della moglie che gli intimava di ritornare a Chicago fu la goccia che fece traboccare il vaso. Nel 1925 fece ritorno a Chicago come stella di un complesso di otto elementi diretta dalla moglie Lil Harden, nello stesso periodo prese una seconda scrittura con l’orchestra di Carroll Dickerson, dove fece due importanti incontri: quello con Joe Glaser, che sarebbe divenuto negli anni successivi il suo manager, e quello con Earl Hines, il più brillante pianista jazz del momento.
Il periodo del suo ritorno a Chicago lo vide molto impegnato negli studi di registrazione, l’esordio fu ottimo con la Okeh dove ritroviamo le prime incisioni degli Hot Five. Poi lo ritroveremo anche con gli Hot Seven, in quegli anni Armstrong registrerà gran parte delle sue più belle esecuzioni, dimostrando di essere il più grande strumentista che il jazz avesse conosciuto fino allora.

I migliori assoli da lui registrati in questi pochi anni sorprendono per l’intensità espressiva, per la forza, per l’eccezionale equilibrio formale: molto spesso, limitandosi a parafrase il tema base, che resta sempre riconoscibile, Louis riesce a costruire una musica squisitamente sua, semplice e solenne, subito identificabile. La freschezza della sua immaginazione gli permette di trovare linee melodiche sempre nuove e talvolta migliori delle originali, nessun jazzman dell’epoca si può paragonare a lui e soltanto Earl Hines e Coleman Hawkins si avvicinano alla sua statura.
In molte incisioni non si dimostra solo un eccellente strumentista ma anche un ottimo cantante jazz, la sua voce cavernosa, rauca, non certamente accettata per i canoni europei, che si articola in una sintassi strumentale si fa apprezzare sicuramente per le stesse doti di inventiva che lo contraddistinguevano nel suo lavoro di strumentista.
Con l’orchestra di Dickerson, nel 1929, decise di tornare a New York, fu un salto nel buio perché nessuna scrittura aspettava i nostri musicisti, ma era parso inevitabile, visto la crisi che attanagliava Chicago. Dopo alcuni mesi di lavori saltuari e una scrittura al Connie’s Inn, Dickerson si vide costretto a sciogliere l’orchestra. Louis comunque riuscì a salvarsi con delle brevi scritture con diverse formazioni. Nel 1930 ricevette l’offerta per una scrittura al Cotton Club di Culver City, a Los Angeles. In quella formazione suonava un giovane batterista, Lionel Hampton, che dovette proprio ad un suggerimento di Armstrong la sua splendida carriera di vibrafonista. Anche con i musicisti del Cotton Club Armstrong incise parecchi dischi che dimostrano l’ulteriore evoluzione, in senso spettacolare, del suo stile.
Dopo una breve apparizione a Chicago, nel 1931, decise di cambiare aria e intraprese una tournée che lo avrebbe condotto fino a New Orleans, nella sua città d’origine, il trombettista ricevette una calorosa accoglienza ma ebbe l’amarezza di constatare che i suoi fratelli di razza non erano ammessi ad assistere alle sue esibizioni al Suburban. Era un locale per bianchi, i neri potevano ascoltare la musica dalle finestre aperte, è quanto fecero la sera dell’esordio quando circa diecimila neri si accalcavano su un terrapieno nelle vicinanze.
Era destino che anche il suo secondo matrimonio finisse, Lil se ne andò di punto in bianco ma gli avrebbe conservato la sua amicizia fino alla fine dei suoi giorni, morì nel 1971 reclinando la testa sulla tastiera di un pianoforte durante un concerto.
Nel 1932, intraprese una grande avventura: si imbarcò a new York, sul Majestic, diretto in Gran Bretagna. L’isola inglese era allora un territorio quasi inesplorato dai jazzmen, come avrebbe reagito il pubblico di fronte alla musica di Armstrong?
C’era un altro motivo di preoccupazione, il trombettista giungeva da solo e non era ancora chiaro chi lo avrebbe accompagnato.
A conti fatti nelle varie serate al Palladium una buona metà degli spettatori che gremivano il teatro all’inizio di ogni spettacolo non resisteva fino al suo termine. In realtà non doveva trattarsi di performance impeccabili, l’orchestra che lo accompagnava era stata messa insieme in fretta con musicisti neri di terz’ordine, nemmeno Armstrong doveva essere in forma, visto le testimonianze che ce lo descrivono come sovrappeso e grondante di sudore durante gli spettacoli.
Ci furono altre scritture a Londra e in altre città inglesi, poi si trasferì per un breve soggiorno a Parigi prima di riprendere il mare alla volta di New York. Sicuramente non era più ricco economicamente ma si era fatto molti amici e aveva conquistato un grande numero di ammiratori.
Dopo qualche mese di brevi scritture e dopo il fallimento dell’orchestra da lui formata pensò che era venuto il momento di ripartire per l’Europa. Arrivano nuovamente a Londra le sue aspettative vennero subito frenate da alcuni flop, dovuti in gran parte alla mediocrità di chi lo accompagnava, ma anche dal peggioramento di Armstrong che cercava l’applauso in qualsiasi maniera senza arrivare alla vera anima della musica.
La verità era che la stagione più felice di Armstrong si era già conclusa, anche se cominciava praticamente proprio allora il suo successo popolare. Ebbe invece l’inizio per lui, trovatosi di fronte un pubblico esclusivamente bianco (i neri dopo il crollo di Wall Street non avevano i soldi per acquistare i suoi dischi), la carriera di entertainer, dello strumentista virtuoso che dà soprattutto spettacoli di varietà per spettatori che non cercano altro che un po’ di divertimento e che non immaginano neppure che un nero possa dar loro qualcosa di più.



Quando arrivò per la seconda volta in Europa, Louis si riteneva un uomo di spettacolo più che un musicista, e non chiedeva di meglio che colpire l’immaginario degli spettatori con certi trucchi ad effetto che strappavano di sicuro l’applauso. In Europa c’era una maggior predisposizione alla sua musica, oltre che da parte dei musicisti anche da parte del pubblico. Così, una volta piantato dal suo manager, decise di restare. Aiutato da Jack Hylton, che a quel tempo comandava la scena della musica leggera europea, riuscì a farsi ascoltare in Scandinavia, in Olanda e ancora in Inghilterra. Qui però fece anche una brutta figura quando a poche ore dall’evento sfuggì al confronto con Coleman Hawkins sul palcoscenico dell’Hippodrome, a Londra. Girovagò per l’europa dando concerti a Parigi, in Belgio, in Svizzera e in Italia dove si esibì all’inizio del 1935.
Dopo aver concluso la sua ennesima tournée rientrò in patria, con l’elettrizzante sensazione di essere ormai una celebrità internazionale. L’euforia durò lo spazio di un istante: sua moglie Lil lo citò in giudizio per farsi pagare gli alimenti arretrati, e il suo labbro piagato lo costrinse a qualche mese di inattività.
Grazie al suo nuovo manager, Joe Glaser, entrò nell’orchestra di Luis Russell, in quegli anni il jazz si stava riprendendo, l’era dello swing si stava avvicinando e il successo ottenuto da Benny Goodman portava benefici a tutti compreso Armstrong, infatti, con un pubblico più completo e un’orchestra di ottima qualità potè tornare ad essere più musicista che artista di varietà. L’ascolto delle incisioni della seconda metà degli anni Trenta conferma che il suo stile strumentale trasse giovamento dalla mutata situazione. La sonorità della sua tromba si era fatta più nitida e squillante e i temi si spogliarono di quegli assoli fatti di sovracuti che molte volte si erano sentiti in Europa per lasciar spazio alle parafrasi di temi melodici tratti dal repertorio di canzoni famose.
Intanto erano cominciate le sue apparizioni in film importanti. La prima di queste risale al 1936, quando partecipò alle riprese di Pennies from Heaven, con Bing Crosby, che giovò enormemente alla sua popolarità; poi vennero Everyday’s a Holiday, Artists And Models e molti altri. Nel 1938 si sposa per la terza volta, con Alpha Smith, ma anche questo matrimonio non sarebbe durato a lungo. Ci sarebbe voluta Lucile Wilson, una ballerina conosciuta al Cotton Club, per fargli mettere finalmente la testa a posto. Si sposarono nel 1942 e restarono sempre uniti.
Gli anni della guerra videro una ripresa dell’interesse del pubblico per il jazz più antico e nel 1945 il trombettista si esibì a New Orleans con un gruppo di stelle fra cui Bechet e James P. Johnson (altri due concerti furono organizzati simultaneamente, per essere radiotrasmessi, a New York e a Los Angeles, con la partecipazione del quintetto di Goodman e l’orchestra di Ellington), apparve chiaro che Louis stava ritrovando parte dell’antico splendore.
Passò del tempo prima che Armstrong lasciasse la propria orchestra, ma l’occasione di riassaporare la sua musica con i suoi amici arrivò nel 1946, durante le riprese del film New Orleans si ritrovò a suonare con Barney Bigard, Kid Ory, Zutty Singleton e altri solisti minori, e realizzò con essi anche qualche buon disco.
L’atteggiamento del pubblico verso le grandi star stava mutando e ormai era chiaro a tutti che la loro stagione d’oro era finita e la conferma l’ebbe nel concerto alla Town Hall di New York, organizzato da Ernest Anderson, che scelse i compagni di Armstrong per l’occasione: Jack Teagarden, il clarinettista Peanuts Hucko, il pianista Dick Cary, il bassista Bob Haggart e infine Gorge Wettling e Sidney Catlett, che si diedero il cambio alla batteria. Quella sera si constatò che Armstrong era ancora un grande solista di jazz: gli occorrevano solo dei compagni di lavoro degni di lui.
Glaser capì subito l’affare e costituì un gruppo di prima scelta, di all star: Teagarden, Bigard, Cary, Morty Cobb al basso (presto sostituito da Arvell Shaw), Catlett e la cantante Velma Middleton. Cominciò così la carriera del più fortunato complesso che il jazz ricordi, che attraversò la sua stagione d’oro quando Cary fu sostituito da Earl Hines.


Dopo una fugace apparizione degli All Star a Nizza in Francia per il primo grande festival jazz europeo, Armstrong si vide, all’inizio del 1949, incoronare “re degli Zulu” a New Orleans durante i festeggiamenti del Mardi Gras. Durante quella celebrazione, che per Louis ebbe un grande significato, il sindaco gli donò le chiavi della città in segno di ringraziamento e come solenne consacrazione.   
In quel periodo incominciò la prima tournée degli All Star in Europa, dove si esibirono in decine di teatri stracolmi. Dovunque, anche in Italia ritrovò orchestrine che suonavano in stile New Orleans.
Ancora pochi mesi di musica eccellente, e poi qualcosa cominciò ad andare per il verso sbagliato, per lo meno per gli amatori del jazz. La sostituzione di Catlett con l’eccellente Cozy Cole, non aveva causato alcun danno al gruppo, ma non si può dire lo stesso delle defezioni di Hines, Teagarden e di Bigard. Era anche chiaro che ad Armstrong ormai interessava solo accontentare il grosso pubblico attraverso la sua eccezionale mimica facciale, o attraverso le acrobazie della corpulenta Middleton o con alcuni discutibili trucchi di Trummy Young (che azionava la coulisse con il piede).
Avrebbe continuato così fin quasi alla fine dei suoi giorni. Agli amici che cercavano di fargli capire che certe cose erano indegne per un’artista della sua levatura, stizzito rispondeva “ Io suono quello che la gente vuol sentire da me”; compiacendo il pubblico e obbedendo al suo manager in poco tempo Armstrong raggiunse una popolarità immensa, come nessun altro musicista di jazz, prima o dopo, raggiunse mai. Nel 1954 girò l’Australia e quindi il Giappone; nel 1955 tornò in Europa e l’anno dopo si spinse in Ghana. Alla fine del 1956 prese parte ad un concerto a beneficio dei profughi ungheresi e per questo fu molto criticato dai suoi fratelli neri, che già mal sopportavano quelle sue smorfie e quei larghi sorrisi che richiamavano gli spettacoli dei Minstrels. Louis, pensavano, avrebbe potuto mettere il suo talento e la sua popolarità al servizio della causa dei neri, mentre non aveva perso occasione per dichiararsi estraneo alle battaglie politiche.
Ma poco tempo dopo ebbe l’occasione di riabilitarsi, dopo un fatto di cronaca in cui una ragazza per raggiungere un edificio scolastico chiuso per lei e per i suoi amici neri con l’ordine del governatore dell’Arkansas, ricevette uno spunto in faccia da un bianco; appena ne ebbe la possibilità, durante un’intervista, dichiarò “visto il modo in cui trattano la mia gente nel Sud, il governo può andare all’inferno” e qualche mese dopo fece saltare la tournée che il dipartimento di Stato aveva in programma in URSS.
Dopo questo incidente, Armstrong riprese la sua attività di ambasciatore del jazz: nell’ottobre del 1958 fece una tournée in Sud America, in giugno del 1959 si trasferì a Spoleto in Italia. L’anno successivo era nuovamente in Africa, dove diede quarantacinque concerti in dieci Stati. Tra il 1963 e il 1965 suonò nei quattro angoli del mondo: in Australia, in molti Paesi asiatici e infine nell’Est europeo (nello stadio di Budapest, ad ascoltarlo c’erano 93.000 persone). Lo si vedrà ancora in molti concerti in Gran Bretagna e persino al Festival di Sanremo in Italia.
Poi anche la fibra dell’apparentemente indistruttibile Louis Armstrong cedette. A metà del 1968, dovette essere ricoverato in ospedale ed interrompere la sua attività, che avrebbe ripreso solo in rare occasioni. Per esempio a Los Angeles, dove il suo complesso fu provvisoriamente ricostituito per i festeggiamenti del suo settantesimo compleanno. Morì nel suo letto, durante il sonno, il 6 luglio 1971.


Gli innumerevoli articoli che furono pubblicati sui giornali di tutto il mondo per commemorare la sua scomparsa diedero la misura dell’affetto, prima ancora dell’ammirazione di cui si era circondato. A New York venticinquemila persone resero omaggio alla sua salma e non mancarono, alle onoranze funebri, un rappresentante del Governo, il sindaco della città e numerosissimi esponenti della musica jazz e leggera.
Come sempre succede quando la morte costringe a dare un’esatta dimensione ad una persona scomparsa, anche chi aveva sofferto nell’assistere alla trasformazione da un perfetto musicista ad istrione che dava spettacoli di varietà si era reso perfettamente conto che lo spreco di tanto talento doveva essere addebitato alla società che gli aveva inibito la carriera dell’artista, e non a lui.
Nonostante tutto questo, il ragazzaccio della Waifs’ Home cambiò, praticamente da solo, il corso della musica americana e influenzò come pochi altri il destino della musica leggera del mondo occidentale. Quanto al jazz, è difficile immaginare quale sarebbe stato il suo destino se Armstrong non avesse indicato a tutti la strada, innescando così una reazione a catena che non si sarebbe più fermata.


Estratti e sintesi da vari testi e libri tra i quali, sicuramente, il più importante è stato "Jazz" di Arrigo Polillo. Il mio, in questo caso, è stato solo un lavoro di collage, ricerca e sintesi e non di autore di testi.