Al contrario in questo caso penso che non si possa prescindere dalla vita personale di Flores per capirne a fondo la musica e per apprezzarla a pieno.
IL DISCO DEL MONDO
Nell'agile volumetto ecco ripercorse la tappe fondamentali della sua vita, dalla nascita a Palermo nel 1956, all'adolescenza di un bambino prima felice e poi improvvisamente turbato da un evento traumatico che ne segnerà per sempre la vita, il viaggio dalla sua terra per conseguire il diploma al Conservatorio di Firenze, fino alla sua affermazione sulla scena jazzistica anche di un certo prestigio (riuscì a suonare anche con Chet Baker e Dave Holland), poggiando su una varietà di influenze e stili.
Se il jazz è una musica che affonda nella libertà improvvisativa le sue radici, sono molte le storie di umana disperazione che hanno contraddistinto le vite di molti dei suoi personaggi più in vista: "Il paradosso di una musica di libertà - scrive Veltroni - è la propensione all'autodistruzione da parte di chi la ascolta, come se si riuscisse davvero a comunicare la gioia della libertà di creare solamente dall'abisso del dolore personale".
E se anche per Flores vigeva il comandamento di suonare ogni nota come se fosse l'ultima il "compagno" Valter, mostra un grande garbo nel raccontare il trapasso di una vita mutilata e irrisolta, un racconto dove la famiglia costituiva un preciso punto di riferimento come spesso avviene al sud, offrendo una protezione dalle ostilità del mondo esterno, con sorrisi e carezze. Dal tepore materno ai dubbi atroci di un uomo tormentato che decide quasi all'improvviso di farla finita, la sua vita scorre quasi come un battito di ciglia.
Una vicenda comunque appassionante condensata nelle ultime parole del libro che descrivono Luca come "Sole e luna, giorno e notte. Come la vita. Come il mondo che sognava, ascoltando Vivaldi, quel bambino geniale. Il mio amico Luca".
PIANO, SOLO
La storia è piena di "musicisti dall'inferno", artisti così sensibili da perdere qualsiasi contatto con la realtà - agevolati o condannati da una latente patologia psichica - al punto da venire risucchiati dalla musica stessa. Luca Flores è uno dei talenti nascosti del jazz italiano, un pianista vissuto tra il 1956 e il 1995 che durante la sua carriera ha suonato con veri e propri mostri sacri della musica colta, da Massimo Urbani a Chet Baker, ma che sognava di esibirsi in una casetta-giocattolo lontano dagli sguardi del pubblico.
Se il titolo del libro faceva riferimento a un disco amato dal musicista - "Il clavicembalo ben temperato" di Bach - quello del film trova nel preludio di Sergei Rachmaninoff una doppia chiave di lettura, musicale e umana.
Fedele alla ricostruzione letteraria, Piano, solo ne mette in scena i punti salienti: gli anni spensierati in Africa, la morte della madre che graverà come una tacita colpa fino alla fine dei suoi giorni, l'affermazione come pianista, i primi concerti, il favore dei colleghi, l'amore per Cinzia, i primi segnali di squilibrio.
L'installazione drammatica volta a cogliere il lato più oscuro del musicista non offre neanche uno scorcio di leggerezza all'uomo, che persino dinanzi all'amore sembra titubante, distante. Trascendentale di fronte alle scale infinite che ripete al piano con devozione ossessionata - quasi a voler creare un contatto con quella madre che pensa di aver tradito, di aver ucciso - Luca Flores rivive sullo schermo attraverso la postura e lo sguardo di Kim Rossi Stuart.
Da questo film è stato tratto un cd di Stefano Bollani con il medesimo titolo. Una curiosità: è lo stesso Bollani che interpreta Flores nei momenti in cui vengono inquadrate le mani al pianoforte. Inoltre Bollani ricorda Flores nel suo libro "Sindrome Bollani" quando da piccolo si avvicinò al piano jazz si recava a casa di Luca come allievo.
WHERE EXTREMES MEET
Love For Sale sicuramente il più famoso di questo artista, ma stavolta vorrei andare controcorrente e farvi ascoltare questo Where Extremes Meet (letteralmente quando gli estremi si toccano) è il primo album da leader del pianista e secondo il mio modesto parere è quello che ne potrebbe rappresentare il suo manifesto in quanto riassume, anche nel titolo, l'intento di conciliare le diverse componenti che popolavano il suo universo espressivo. Le due sedute di incisione, effettuate il 27 e 28 febbraio 1987, vedono protagonisti il nucleo del Matt Jazz Quintet (ad eccezione di Gianni Cazzola) ed alcuni musicisti che in quegli anni ruotavano nei vari progetti di Flores.Where Extremes Meet coglie Flores in uno dei momenti più alti della sua parabola artistica. Con il Matt Jazz Quintet Luca aveva infatti sviluppato gli assi portanti del proprio pensiero musicale: una conoscenza profonda della sintassi jazzistica, basata sull'analisi del linguaggio dei grandi pianisti; una concezione armonica che inglobava l'armonia occidentale e la modalità; un linguaggio improvvisativo asciutto ed efficace, conciso ed eloquente al tempo stesso.
Land Of No Return (8.09)
Il brano si apre con l'esposizione all'unisono del tema che lascia presto spazio al solo di Caldura al tenore con un bel accompagnamento del vibrafono che subito dopo esce nel proprio assolo, lungo e sempre variegato, a metà del quale (2.20 circa) la ritmica fa un raddoppio dando il senso che ci sia stato un accelerando, ma se fate attenzione il tempo è lo stesso, in questo modo da vigore e nuovi spunti al solo di vibrafono che diventa spettacolare anche con l'intervento dei fiati. Subentra il contralto (penso di Urbani) con un solo visionario e ai limiti armonici. Un intermezzo di batteria di Alfred Kramer dà il via alla riproposizione del tema iniziale.
Matt Samba (5.14)
Inizia con tema malinconico di piano solo, il brano prende vita con l'entrata del sax tenore (forse Tonolo), arriva un bel solo melodico di Flores (la pulizia nel suonare che aveva questo ragazzo è proprio spettacolare!), i suoi soli non sono mai banali, hanno sempre una chiave di lettura particolare. Riprende il tema iniziale con l'inserimento in contraccanto del vibrafono.
Where Extremes Meet (12.02)
Il pezzo che dà il nome all'album è anche il più lungo, qui i protagonisti sono il tenore di Tonolo, il soprano di Caldura (purtroppo anche lui morto, sospetto suicidio, in giovane età) e il clarinetto basso di Bruno Marini.
La traccia inizia con l'esposizione di un'intro e la batteria fa movimento aritmico che dà un senso di sospeso, al cambio ritmico inizia il solo di sax, tutto il brano sembra correre in una dimensione sospesa, le frasi non arrivano mai in un senso di riposo, si sovrappongono, si spingono agli estremi armonici e in alcuni casi li oltrepassano. Nemmeno la ritmica è quadrata, si sposta, non dà punti di rifermento. Il solo di piano ricorda il pianismo di McCoy Tyner, musicista che ispirò molto Flores.
How Far Can You Fly (10.05)
Ecco i due estremi musicali che si toccano, passiamo dalla precedente traccia, dura, spigolosa, quasi stridente alla traccia più melodica del disco. In evidenza c'è, ovviamente, il flauto di Nicola Stilo (artista che amo particolarmente, a breve presenterò un suo disco), tecnico, veloce, intonato, suono pieno. Gran parte del pezzo è incentrato sulla verve improvvisativa di Stilo (circa 4 minuti), gli subentra un solo di piano, questa volta melodico ben centrato armonicamente. Non ci si annoia mai a sentirlo perchè ha sempre delle soluzioni sorprendenti. Il contrabbasso chiude la sequenza dei solo in maniera molto personale. La ripresa di Stilo con il suo flauto magico chiude la traccia.
Six Blue Fragments (7.04)
Brano che richiama atmosfere blues, il solo di sax tenore ricorda il sound di Joe Henderson il piano fino al solo supporta i solisti con un accompagnamento percussivo (alla Tyner) finchè si libera in un assolo. L'interplay tra i musicisti è ottimo, ogni entrata sembra scritta, ogni intervento studiato quasi a tavolino, invece gran parte di questi brani è frutto di improvvisazione del momento.
Tyner's Mirror (7.50)
Brano che conclude il disco, palese, in questo caso, l'omaggio a McCoy Tyner, è un pezzo fortemente introspettivo che scava nel profondo della persona. Le linee melodiche vengono distribuite poco per volta con un uso frequente dello staccato. Molto pregevoli gli interventi del vibrafono. L'atmosfera è intima, come se in questo ultimo brano Flores si ritrovasse veramente in una scatola di cartone lontano da tutti, solo lui e la sua musica.
Musicisti:
Luca Flores (piano)
Maurizio Caldura (sax tenore, sax soprano)
Alessandro Di Puccio (vibrafono)
Marco Vaggi (contrabbasso)
Alfred Kramer (batteria)
Massimo Urbani (sax alto)
Pietro Tonolo (sax alto, sax tenore)
Bruno Marini (clarinetto basso)
Nicola Stilo (flauto)
Furio Di Castri (contrabbasso)
Purtroppo non sono riuscito a trovare registrazioni di questo album da postarvi. Concludo inserendo un paio di video correlati a questo argomento.
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